Bruxelles - Brindano i paradisi fiscali :
banchieri, politici e i manager furbi. Resta
indifendibile Panama, indifendibile dopo avere dato il
suo nome allo scandalo dei Panama Papers. Ma
nella lista pubblicata da Eurostat non ci sono Bermuda,
Jersey e Cayman, che si sono conquistate un posto nella
più tranquilla 'lista grigia' per meriti non chiariti.
Eppure è proprio alle Bermude che ha base Appleby, il
più grande studio legale offshore al centro del caso dei
Paradise Papers. È lo studio che aiutava a risparmiare
sulle tasse giganti come Apple, Nike, Uber o Citigroup.
Se l'Europa volesse fermare i paradisi fiscali, gli
basterebbe mettere al bando i capitali senza identità
che provengono dai paesi non collaborativi, sarebbe
sufficiente introdurre questa stretta con una certa
gradualità per chiudere una volta per tutte la
questione. Ma i paradisi fiscali avranno amici così
numerosi tra chi comanda in Europa. Il dossier
pubblicato dall'Eurostat dice che a fine 2016 quasi un
terzo dei 6.288 miliardi di euro di investimenti diretti
esteri in Europa (azioni di società, quotate o non
quotate) era controllato da soggetti basati in un centro
finanziario offshore. In pratica 1.838 miliardi di euro
di capitali che controllano aziende europee ma dei quali
si sa ben poco, al di là del nome di facciata di una
fiduciaria o di qualche studio legale utile a nascondere
l' identità del vero proprietario del denaro. La lista
dei paesi dai quali arrivano gli investimenti in Europa
è impressionante. Bruxelles non si è mossa con la stessa
decisione contro gli investimenti fittizi che arrivano
dai trust e dalle fiduciarie anonime basate nei paradisi
fiscali. Eppure le cifre, come conferma Eurostat, sono
di gran lunga maggiori. Il centro di statistica rivela
anche che la presenza dei capitali offshore è in forte
espansione: è cresciuta del 63% tra il 2013 e il 2016,
aumentando di oltre 600 miliardi di euro. La ragione non
è misteriosa: i paradisi fiscali in giro per il mondo
hanno forti alleati nei paradisi fiscali che fanno parte
dell' Unione Europea. Paesi che sono perfettamente
organizzati per concentrare gli incassi delle aziende di
tutta l' Ue per poi spedirli ai Caraibi, dove possono
rifugiarsi lontano dalle mani del fisco. Dei 1.838
miliardi di euro di investimenti offshore in Europa 775
sono in Lussemburgo, 573 nei Paesi Bassi, 192 nel Regno
Unito e 156 in Irlanda. Questi quattro paesi ospitano il
92% degli investimenti offshore europei e sono gli
stessi che ostacolano i tentativi di chiudere le porte
di uscita ai capitali che cercano di fuggire dal fisco
europeo. Li ostacolano perché quelle porte servono
sempre a loro, che infatti guidano la classifica degli
investimenti diretti europei all' estero, dove figurano
in totale 1.276 miliardi di euro di capitali europei
investiti in centri finanziari offshore. Sono stati
questi stessi governi a impedire che il 5 dicembre il
Consiglio europeo fosse in grado di realizzare una lista
efficace dei paradisi fiscali. I 17 Paesi indicati come
«non-cooperativi» dai capi di Stato europei sono quelli
dalle alleanze politiche più deboli. Nella lista nera ci
sono paesi come la Mongolia, la Namibia e Trinidad e
Tobago. Al primo posto ci sono gli Stati Uniti, con il
38,1% della quota di investimenti diretti stranieri, e
al secondo la poco trasparente Svizzera, con il 12,2%.
Al terzo posto, con il 10,3% degli investimenti,
troviamo Bermuda, territorio d' oltremare britannico
indicato dall' Oxfam come il più aggressivo dei paradisi
fiscali per le società: non prevede imposte sui redditi
d' impresa e raramente aderisce alle iniziative contro
abusi e riciclaggio, segnalano i ricercatori dell'
organizzazione non governativa che lotta contro la
povertà. Al quarto posto per investimenti stranieri in
Europa, con una quota del 5%, c' è il baliato di Jersey,
dipendenza della corona britannica a pochi chilometri
dalle coste francesi che negozia direttamente con le
aziende l' aliquota da applicare sui soldi che portano
sull' isola. Lì sono basate fiduciarie con un patrimonio
stimato in 1.500 miliardi di euro. Scorrendo la
classifica si trovano poi due paesi "normali", come il
Canada e il Giappone, dopodiché c' è ancora spazio per i
paradisi fiscali. Come le Isole Cayman e Gibilterra,
altri due territori d' oltremare britannici che non
tassano i redditi delle imprese e che controllano ognuno
il 2,7% degli investimenti stranieri in Europa. Più
della Cina, che con tutto il suo attivismo nel Vecchio
continente ha una quota di un "misero" 2,2%, non molto
superiore a quello di un altro paradiso fiscale che
batte bandiera britannica, le Isole Vergini (1,6%).
Quelli della Cina, però, sono investimenti "veri", che
puntano al controllo reale delle imprese europee per
mettere le mani sulle loro tecniche e le loro
competenze. Difatti la Commissione europea sta lavorando
a un meccanismo di screening per analizzare ed
eventualmente fermare gli investimenti sgraditi che
arrivano dalla Repubblica Popolare. (Pedro Lusma,
2 gennaio 2018) |